CHIESA PARROCCHIALE
La chiesa è anzitutto luogo di preghiera, dove si incontrano Terra e Cielo, invocazione e ascolto, tormento e speranza, pentimento e perdono, inquietudine e rassegnazione. È un luogo di sosta, dove ogni viandante può depositare il suo fardello di sofferenze, di paure, di errori e ripartire alleggerito. È il luogo dell’educazione morale e delle devozioni; dove la comunità cristiana si ritrova e si riconosce; un luogo che sa offrire momenti di cultura, di riflessione, di spiritualità. La chiesa parrocchiale di Roncadelle, anche grazie ai parroci (v.) che l’hanno avuta in gestione, ha accompagnato il cammino della comunità locale per cinque secoli e continua ad esserne un riferimento importante.
Origine. Nella seconda metà del ‘400 venne eretta nella Contrada di Sopra (forse per iniziativa di alcuni frati francescani) una chiesetta dedicata a Bernardino da Siena (v.), predicatore francescano molto apprezzato, vissuto tra il 1380 e il 1444 e proclamato santo nel 1450.
Roncadelle era allora un piccolo borgo, appartenente alle Chiusure di Brescia (v.), suddiviso in due distinti nuclei abitati: la Contrada di Sotto (o dell’Osteria), sorta nel Basso Medioevo lungo l’importante “Strada regale degli Orzi”, che collegava la città di Brescia alla fortezza di Orzinuovi, attraversando la parte meridionale del territorio locale; la Contrada dei Cortivi di Sopra, sorta nello stesso periodo accanto all’antica cascina del monastero di S. Giulia, lungo la strada rurale che portava a Travagliato attraversando la parte centro-settentrionale del territorio locale. Le due Contrade erano diverse per vocazione economica e composizione sociale, essendo la prima dedita in gran parte all’artigianato e al commercio e la seconda abitata da contadini. Ma esse vennero tenute insieme dai Porcellaga (v.) che avevano proprietà in tutto il territorio locale, tramite la realizzazione del castello (v.) eretto nel primo ‘400 sulla strada rurale di collegamento tra i due nuclei abitati, in posizione centrale ed equidistante rispetto alle due Contrade.
Diversamente dall’antica chiesa del monastero di santa Giulia, situata nella stessa contrada, la nuova chiesetta era orientata verso ovest. Originariamente era poco più che una cappella campestre, costruita per motivi devozionali ma, essendo sorta a poca distanza dal castello, che si proponeva come centro di aggregazione della comunità locale, la sua ubicazione ne determinò la successiva fortuna. La chiesetta aveva infatti suscitato l’interesse di Gerolamo Porcellaga che, per un voto espresso quando era prigioniero dei Francesi nel 1512, dispose con il testamento dell’11 marzo 1515 che i suoi eredi provvedessero a designare e mantenervi in perpetuo un sacerdote, amovibile a loro beneplacito, utilizzando l’affitto annuo (8 ducati) ricavato da un suo terreno per coprire la metà del costo necessario, mentre l’altra metà sarebbe stata coperta dalla popolazione locale. Il Porcellaga intese così rispondere anche alla insistente richiesta degli abitanti (circa 120 famiglie) di poter disporre di un’assistenza religiosa continuativa.
I suoi eredi (G. Francesco, G. Battista e Pietro Porcellaga) acquistarono quindi il giuspatronato della chiesetta versando la somma di 600 lire a Filippo Donato, un patrizio veneto evidentemente investito del relativo beneficio ecclesiastico, e negli anni seguenti si impegnarono ad ampliare ed abbellire l’edificio, mentre i fedeli si obbligarono a fare la loro parte sollevando dall’obbligo contributivo solo i poveri ritenuti tali dai proprietari del castello. Il giuspatronato, trasmesso ai successivi proprietari del castello di Roncadelle, era destinato a durare ben quattro secoli.
Primo ampliamento. Tra il 1525 e il 1540 la chiesa venne ampliata con l’utilizzo di molti laterizi raggiungendo una dimensione di circa 20 m. di lunghezza e nel 1531 fu dotata di un campanile, su cui venne collocata una campana. Per decorarne l’interno, fu chiamato anche il Romanino, che vi affrescò la pala d’altare e forse altri dipinti. Infine, fu arricchita di nuovi arredi. I Porcellaga cominciarono a nominare un curato (don Gerolamo Faustini di Castelcovati), che si stabilì a Roncadelle e che, oltre a celebrare quotidianamente e ad esercitare la cura delle anime, ottenne poi la facoltà di amministrare il battesimo nella chiesa, presso la quale cominciarono anche a venire sepolti i defunti. Da allora la chiesa di san Bernardino divenne il principale riferimento per la vita religiosa dell’intera comunità locale, costituendo una curazia nell’ambito dalla parrocchia suburbana di Fiumicello, mentre l’antica chiesetta di santa Giulia si ridusse ad un ruolo sempre più marginale.
Consacrata il 3 giugno 1565 dal vescovo suffraganeo Vincenzo Duranti, la chiesa aveva, oltre all’altar maggiore, due altari laterali affidati alle due Confraternite (v.) locali: quello sul lato sinistro era gestito dalla Confraternita del Ss. Sacramento istituita nel 1540-41, quello sul lato destro dalla Confraternita del Rosario costituita nel 1609. La popolazione locale trovava nella fede religiosa e nelle proprie organizzazioni maggior sicurezza che nel castello, il quale rappresentò anzi, in certi periodi, un grave ostacolo alla convivenza civile, come avvenne nella prima metà del ‘600, quando i Porcellaga del castello esercitarono violenze ed abusi anche nei confronti degli abitanti di Roncadelle, finché l’arresto e la definitiva condanna di Pietro Aurelio Porcellaga (grazie anche alle testimonianze di alcuni parrocchiani) nel 1647 ed il successivo matrimonio, nel 1659, tra sua figlia Chiara Camilla con Gaspare Giacinto Martinengo Colleoni (v.) consentirono una svolta positiva nella vita civile e religiosa locale. I nuovi signori di Roncadelle chiamarono infatti alla guida della parrocchia locale don Faustino Agosti, che vi avviò un profondo rinnovamento morale, e decisero anche di ampliare ed abbellire la chiesa di san Bernardino (in concomitanza con la trasformazione del castello e di un palazzo cittadino) affidandone la committenza a G. Battista Croppi, che adottò lo stesso disegno architettonico da lui firmato per la chiesa di Capriano del Colle.
Secondo ampliamento. La chiesa di san Bernardino venne così trasformata per la seconda volta, tra il 1668 e il 1693, assumendo l’attuale aspetto imponente e compatto. Il nuovo edificio, che raggiunse una lunghezza interna di circa 38 metri, rispecchiava lo schema compositivo del tardo Seicento: pianta longitudinale a navata unica con alte pareti ritmate da paraste doriche e da arconi a tutto sesto; volta a botte, segnata da membrature e da grandi unghioni in corrispondenza delle dieci finestre laterali; presbiterio rettangolare, leggermente rialzato rispetto alla navata, definito da un coro ligneo e da una balaustra in marmo; sei cappelle laterali, raccolte ed equilibrate, incassate nelle fiancate. Vi vennero eretti due nuovi altari, oltre a quelli già esistenti: uno dedicato ai santi martiri Fermo e Pancrazio (cui erano tradizionalmente devote le casate dei Martinengo Colleoni e dei marchesi di Pianezza) e l’altro alla Beata Vergine del Suffragio; mentre le due cappelle sul fondo vennero utilizzate per il Battistero e come deposito di gonfaloni e stendardi. Ai lati del presbiterio furono applicate le due cantorie a balconata con parapetti simmetrici in legno dipinto, su una delle quali venne posizionato l’organo. Sopra la porta laterale sinistra della navata esisteva un pulpito in legno, rimosso nel 1956.
All’esterno, la semplice facciata, sormontata da un frontone ottuso decorato, era divisa in due parti da un cornicione marcapiano: il registro superiore venne alleggerito da una finestra rettangolare e da due riquadri incorniciati; mentre la parte inferiore venne decorata da lesene simili a quelle interne. Il portale della facciata era protetto da un grazioso protiro ad arcate, probabilmente ereditato dalla costruzione precedente. Addossata alla fiancata esterna sinistra vi era l’abitazione del curato-parroco, preceduta da un portichetto.
All’interno, la chiesa venne dotata di nuovi interessanti dipinti, di oggetti di culto e paramenti sacri anche di valore, di nuovi mobili e arredi, di una macchina del Triduo e di nuove reliquie di Santi.
Venne persino trasformata la strada rurale che collegava i due edifici architettonicamente emergenti, il castello e la chiesa, in un ampio viale prospettico, che si propose come cuore del centro abitato.
Nel 1696 morì don Faustino Agosti che, con un lascito testamentario di 500 scudi, volle sollevare la popolazione dall’obbligo di contribuire al mantenimento del sacerdote e della chiesa. Due anni dopo morì Chiara Camilla, ultima discendente dei Porcellaga, che nella nuova chiesa volle essere sepolta, sottolineando così il suo forte legame con Roncadelle e la comunità locale.
All’inizio del ‘700 l’altar maggiore e gli altari laterali vennero impreziositi con l’intervento di famosi intarsiatori di marmo. Nel coro, che occupa le tre pareti dell’abside, vennero applicati gli stalli in legno di noce, inizialmente riservati ai proprietari del castello e al clero, e due panche neoclassiche.
L’altare della B.V. del Suffragio fu intitolato anche a sant’Antonio da Padova e, in luogo del deposito degli stendardi, venne poi eretto un nuovo altare dedicato a S. Gaetano da Thiene. Nel 1834 furono esposti nella navata 14 tele (cm. 55x70) raffiguranti le stazioni della Via Crucis, dipinti da P. Bortolotti. Nel 1851 furono costruiti i nuovi confessionali in legno di noce dal falegname Girelli. All’inizio del ‘900, la chiesa venne decorata da Andrea Poisa e Giuseppe Trainini di Brescia e dal pittore bergamasco Giuseppe Riva, che affrescò sulla volta medaglioni raffiguranti la Trasfigurazione, i quattro evangelisti, la gloria di san Bernardino e i Santi protettori della gioventù.
Terzo ampliamento. Ma già dal 1816 la chiesa, pur considerata “ben ornata e ben fabbricata”, era ritenuta “alquanto piccola per la popolazione”. Tanto più lo diventò un secolo dopo; per cui nel 1933-35 il parroco don Giacomo Contessa provvide ad allungarla (su progetto dell’arch. Angelo Bordoni) con l’aggiunta di una campata d’ingresso (m. 7,50x15) alta fino al vecchio cornicione marcapiano, occupando quasi tutto il sagrato. Diversamente dalla struttura precedente, che ha una muratura mista in pietra e laterizi, la nuova aggiunta ha strutture in cemento armato ed è staticamente indipendente. All’interno furono inserite due grandi colonne tuscaniche per sorreggere il registro superiore della vecchia facciata. L’intervento, che ha rotto l’equilibrio stilistico e volumetrico dell’edificio e la sobria ed elegante facciata seicentesca, fu ritenuto necessario dal notevole incremento della popolazione locale, triplicata in poco più di un secolo: dagli 800 abitanti della fine ‘700, si era infatti passati ai 2400 del 1932. La nuova facciata venne privata del protiro e abbellita da un dipinto del Bocchi.
Negli ultimi decenni sono stati attuati sulla struttura dell’edificio altri numerosi interventi, alcuni dei quali eseguiti gratuitamente da benemeriti parrocchiani: strappo dell’affresco del Romanino dalla parete originaria, allestimento dell’impianto elettrico, dell’impianto sonoro, del riscaldamento, rinnovo dei banchi per i fedeli, nuova pavimentazione in marmo rosso di Asiago e bianco di Botticino, restauro degli affreschi, dei sedili del coro, dei portali, delle vetrate, del tetto e del campanile, elettrificazione delle campane, ecc.
L’ altare maggiore e il presbiterio
L’altare maggiore, splendido esempio dell’arte del commesso, è dei primi anni del ‘700. Il paliotto è decorato con motivi naturalistici (foglie di acanto, grappoli, uccelletti, fiori di narciso e bacche), che spiccano vividi su fondo nero di paragone e che fungono da cornice alla cartella centrale, nella quale è effigiato l’emblema eucaristico dell’ostensorio. L’ancona, con struttura a cornice, è semplice e rigorosa, con due grandi paraste in verde Alpi e fondo in marmo di Carrara. La presenza del limone tagliato all’interno degli ornati e il sapiente accostamento delle tonalità cromatiche dei marmi ne certificano l’attribuzione ai Corbarelli. L’altare venne poi sormontato, intorno al 1740, da un’imponente tribuna a forma di tenda orientale (munita di colonnine in diaspro, statue allegoriche e putti dorati) attribuibile alla scuola dei Fantoni di Rovetta. Il ciborio vero e proprio è chiuso da un’artistica porticina in argento sbalzato, che rappresenta una Crocifissione.
Per allestire l’altare rivolto al popolo, in esecuzione delle indicazioni liturgiche post-conciliari, si è utilizzato uno degli altari laterali in marmo del primo ‘700, i cui elementi decorativi si armonizzavano con quelli dell’altare maggiore. Successivamente, nel 2003, è stato sostituito da un’opera scultorea moderna di Federico Severino, che rappresenta l’Annunciazione. Altre opere in bronzo dello stesso autore eseguite per il presbiterio sono l’ambone, il leggio, la croce astile, il seggio, il porta-cero.
Il Crocifisso in legno policromo che viene saltuariamente esposto nel presbiterio è del ‘600.
L’altare maggiore è sovrastato da un grande capocielo dipinto in azzurro con una colomba al centro.
La balaustra, che separava il presbiterio dalla navata ed ora relegata presso l’ingresso principale, ha lo zoccolo e i piani in botticino e i pilastrini alternati in nero di paragone e in rosso di Verona.
Pala. La grande pala (cm. 200x340 ca.) dell’altare maggiore, eseguita intorno al 1680 da Francesco Paglia, rappresenta la Madonna col Bambino e i Santi protettori (Bernardino, Rocco e Sebastiano). In uno spiraglio si intravvede il disegno della chiesa parrocchiale così come doveva essere all’epoca.
La tela è stata restaurata nel 1962, come la soprastante lunetta, da Casella, Scalvini e Bizzai di Brescia.
Lunetta. La magnifica lunetta (cm. 370x190 ca.) sopra il coro è una copia (con poche, significative varianti) dell’Ultima Cena, che il Moretto aveva dipinto nel 1521 per la cappella del Ss. Sacramento nella chiesa di san Giovanni a Brescia. Il copista seicentesco ha trasformato la scena in un Banchetto Eucaristico data l’esclusiva presenza del pane e del vino sulla mensa. L’abito dell’apostolo sull’estrema destra lascia intendere che l’opera sia stata commissionata da un alto prelato dell’epoca.
Altri dipinti. Sulle pareti laterali del presbiterio sono esposte altre due tele. La prima, eseguita da Antonio Paglia (figlio di Francesco) nel ‘700, rappresenta la Madonna che consegna il Bambino a san Gaetano da Thiene, cui era stato dedicato un altare laterale nel ‘700. L’altra è un bel Compianto del Cristo morto eseguita verso la fine del ‘700 da Sante Cattaneo, che è stata rovinata da un fulmine nell’agosto 1979. Sul fronte dell’arco santo sono a volte esposte due piccole tele, che raffigurano sant’Antonio Abate e sant’Antonio da Padova, che dovevano far parte di un polittico del ‘500.
L’organo. Particolarmente prezioso è l’organo a 32 registri, dal timbro sonoro robusto e spiegato, ubicato nella cantoria sinistra del presbiterio. Costruito da Porro & Maccarinelli di Brescia nel 1892, conserva materiale fonico (canne ed ance) appartenenti all’organo già presente nella chiesa nel ‘600. L’organo è stato restaurato nel 1959 da Davide Dagnolo e, più recentemente, dagli Inzoli.
Fonte battesimale. Presso il presbiterio, sul lato destro, campeggia il fonte battesimale in marmo di Botticino, che conserva un alto valore simbolico per la comunità locale, in quanto per molte generazioni ha consentito il rito d’ingresso nella comunità cristiana ai nuovi nati. La data di costruzione (1555), che testimonia l’acquisizione di una certa autonomia nelle funzioni sacramentali, è stata rinvenuta, in occasione della risistemazione del fonte, incisa sul punto di innesto tra il fusto e la vasca. L’ampio piede ottagonale sorregge il fusto abbellito da scudi scalpellinati e la vasca a costole, che riporta la scritta evangelica “Nisi qui renatus fuerit ex aqua et Spiritu Santo non potest introire in Regnum Dei”. Il coperchio emisferico in rame sbalzato è opera del secondo ‘900.
I dipinti e gli altari laterali. Nella prima cappella di destra, sopra un altare di marmo del primo ‘700 abbellito da un fascio di fogliami d’acanto con rose e uccelletti su fondo nero, è esposto un dipinto di particolare rilievo artistico: si tratta dell’affresco eseguito da Gerolamo Romanino (v.) intorno al 1530 come pala dell’altare maggiore, che è stato strappato dalla parete originaria (ora sacrestia) nel 1962 per salvaguardarlo dal crescente degrado. Rappresenta quattro santi ai piedi della Madonna con Bambino: san Bernardino da Siena (cui è dedicata la chiesa), san Domenico di Guzman (cui erano devoti i Porcellaga), san Sebastiano e san Rocco (invocati dalla popolazione per proteggersi dalle pestilenze, molto frequenti in quel periodo), tra i quali si intravvede un ormai poco leggibile scorcio di paesaggio locale.
Sopra il portale laterale destro è esposta una tela di buona scuola seicentesca raffigurante i santi Anna e Gioacchino, genitori della Madonna, inginocchiati davanti all’Immacolata Concezione. Il dipinto ha le stesse dimensioni (cm. 150x240 ca.) della tela posta sopra il vicino confessionale, che raffigura gli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele ai piedi della SS. Trinità.
Il secondo altare sul lato destro era dedicato nel ‘700 a sant’Antonio da Padova, il frate francescano di origine portoghese canonizzato nel 1232 e invocato come protettore dei poveri e dei matrimoni. L’ovato del paliotto raffigura il miracolo della mula, che scarica davanti al Santo il sacco del denaro rubato. Sotto la mensa si innesta una bella statua di cherubino di scuola callegaresca. L’altare, ora dedicato alla Madonna, è dominato da una statua della Vergine con Bambino in legno policromo realizzata tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Un particolare valore, anche affettivo, hanno le corone poste sul capo della Madonna e del Bambino nel 1955, realizzate con l’oro raccolto in parrocchia negli anni del dopoguerra; si tratta di due ghirlande di foggia imperiale, lavorate a traforo, con apice segnato da un globo crucifero gemmato e con pietre semipreziose incastonate.
Salendo lungo il lato destro della navata si incontra l’altare inizialmente dedicato alla Madonna del Rosario, come ricorda l’ovato nel cimiero della bella ancona in marmo, ed ora dedicato alla Natività, raffigurata in una pala eseguita probabilmente intorno al 1525 da Francesco Prata da Caravaggio (molto simile all’Adorazione dei pastori dipinta dallo stesso autore per la chiesa parrocchiale di Bedulita) su un disegno giovanile del Romanino, la cui mano è rintracciabile nelle fisionomie contadinesche, nella calda umanità che unisce uomini, animali e angeli, e nella scomposta postura del Bambino. La tela è stata più volte manomessa: mutilata nella fascia superiore (circa 35 cm.) e poi reintegrata in modo maldestro nel ‘600; un innesto di tela seicentesca sul manto della Madonna ne aveva modificato il colore e la posizione, ecc. Restaurata nel 1961 da Alessandro Buschetto e nel 2001 da Emanuela Montagnoli Vertua, la tela ha ripreso i colori e lo splendore iniziale.
L’altare delle Reliquie dei Santi, sul lato sinistro della navata, è l’antico altare del Ss. Sacramento, come testimonia l’ostensorio raffigurato sul grande scudo ovale al centro del fastigio dell’ancona. Il paliotto è in portasanta (marmo rosato). La bella porticina del tabernacolo, in legno dipinto con effigiato il Cristo Redentore, è seicentesca. L’ancona, con colonne in rosso di Francia e capitello corinzio, ospita in apposite teche una serie di reliquiari (del ‘600 e del ‘700) di varie fogge e di pregevole fattura, che contengono numerose reliquie di Santi per lo più misconosciuti. Anche se rimangono molti dubbi sulla loro autenticità, le reliquie sono una testimonianza del diffuso culto dei Santi, visti come protettori, intercessori o esempi da imitare.
Sopra il confessionale di sinistra campeggia una grande tela raffigurante i santi Fermo e Rustico, Lucia e Apollonia ai piedi della Madonna con Bambino. La tela ha le stesse dimensioni (cm. 150x234 ca.) di quella esposta sul vicino portale laterale, che raffigura sant’Orsola e Compagne da una parte e i santi Antonio da Padova, Antonio abate e san Francesco d’Assisi dall’altra, ai piedi della Madonna con Bambino. Della quattro grandi tele che si fronteggiano al centro della navata, questa è l’unica firmata e datata: Augustinus Salonius fecit 1686.
Il secondo altare sul lato sinistro, che racchiude una statua in gesso di san Giuseppe nell’ancona marmorea recente e in stile composito, era originariamente dedicato a san Pancrazio, raffigurato in un artistico ovato al centro del paliotto in marmo di Valcaregna.
Senza pretese artistiche, ma di grande valore devozionale, è l’altare in marmo del secolo scorso sulla parete sinistra, che espone una statua in legno del Sacro Cuore di Gesù (fine ‘800) e la mensa trasformata in ricettacolo per la statua in gesso di Cristo morto racchiuso in una teca (‘900).
Altre statue di un certo interesse, esposte nella navata, sono quelle in legno policromo di san Rocco (firmata Gualfardo Sughi e datata 1836), di san Bernardino e di sant’Agnese (fine ‘800/inizio ‘900).
Sulla controfacciata, sotto la vetrata riproducente il simbolo di san Bernardino, sono esposte altre tele. Al di sopra del portale centrale una grande tela (cm. 390x160 ca.) di anonimo bresciano della metà del ‘600 raffigura un miracolo di san Bernardino (attribuito erroneamente a sant’Antonio), che risana un giovane travolto da un toro. Sempre seicentesche sono le tele poste ai lati del portale: una raffigura i santi Faustino e Giovita con le Sante Croci; un’altra, di un pittore anonimo del ‘600, rappresenta san Pancrazio a cavallo, che per quanto di scarso valore artistico, era probabilmente esposta sull’altare a lui dedicato verso la fine del ‘600. La terza raffigura san Rocco e san Sebastiano, invocati come protettori dalle pestilenze, fatta eseguire nel 1643 per la chiesetta (ora scomparsa) di Villa Nuova, eretta da don Ludovico Porcellaga forse per essere scampato alla peste che aveva infestato il territorio pochi anni prima.
Le due acquasantiere in marmo di Botticino sono opera recente dello scultore Engheben e offerte da due parrocchiane.
La facciata. La facciata risulta divisa in due parti: il registro superiore è alleggerito da un finestrone rettangolare, cui è stata applicata una vetrata istoriata riproducente il monogramma di san Bernardino; la parte inferiore, più avanzata rispetto al corpo dell’edificio, è scandita da paraste di ordine dorico leggermente in rilievo, che affiancano il portale centrale in legno dolce a due battenti, cui sono state applicate 20 moderne formelle in bronzo dello scultore Virginio Faggian riproducenti 8 episodi della vita del santo Patrono e alcune simbologie liturgiche.
Sopra il portale campeggia un affresco che rappresenta san Bernardino mentre predica alla folla. Eseguito dal Bocchi negli anni ’30, il dipinto non ha retto all’erosione degli agenti atmosferici ed è stato restaurato nel 1961 da G. Battista Cattaneo e, vent’ anni dopo, dal pittore Innocente Rossi.
Il campanile. Ha una struttura a pianta quadrata (cm. 2,60x2,60) addossata all’abside. Costruito nel 1531 con muratura mista (pietra e laterizio) e con apertura su ogni lato di monofore alla sommità, dove è collocato il castello campanario. A fine ‘600 vi vennero collocate tre campane in bronzo. Nel 1883 sul campanile, rialzato, fu installato un nuovo orologio meccanico e nel 1887 le campane vennero aumentate a cinque. Nel 1942 vennero requisite per motivi bellici tre delle cinque campane in bronzo, che vennero poi ripristinate nel 1951. Il campanile, oltre a scandire le ore della giornata e delle funzioni religiose, ha svolto l’importante funzione di segnalare gli avvenimenti della vita comunitaria, allarmando la popolazione nei casi di pericolo, annunciando i momenti di gioia collettiva, accompagnando i defunti nell’ultimo commiato.
Oggetti liturgici.
Particolarmente preziosi sono gli oggetti per il culto più antichi, per lo più in argento o in metallo argentato: due calici del ‘600 e uno del ‘700, una pisside di fine ‘500, una raggiera e un ostensorio (metà ‘700), turibolo e navicella di metà ‘700, una cassetta per olii santi di fine ‘600. Sono conservati anche 26 candelieri in ottone di fine ‘600 e altri 20 di metà ‘700, una croce da altare in lamina argentata di metà ‘700, quattro portapalme del ‘700. Ha assunto particolare importanza il reliquiario a tabella del ‘700 in lamina argentata sbalzata e cesellata, che dal 2003 contiene la preziosa reliquia di san Bernardino (un frammento osseo di circa 1 cm.) con il sigillo del card. Silvano Piovanelli, donata alla parrocchia di Roncadelle da mons. Marco Domenico Viola di Castelfiorentino.
Da menzionare anche uno splendido candelabro ebraico (menorah) donato da un anonimo.
Macchina del Triduo.
È un grande apparato decorativo impiegato per le Quarantore. È in legno intagliato, laccato in rosso e impreziosito da lumeggiature in oro, sui cui fianchi si dispongono gli elementi sagomati adibiti a reggere numerose candele. Propone una grande raggiera abbellita da una testa di cherubino ad innesto. Le ornamentazioni sono proprie del ‘700. Già nell’inventario del 1711 era descritto un grande apparato per l’esposizione del SS.mo, composto da “due scalinate depinte, un baldachino di broccato falso, un pavione depinto che copre tutta la larghezza del choro, legnami ferri e corde per tener in piedi detto pavione, baldachino grande sopra detto pavione con sue mazze e franze, due tele depinte a fiorami, due banchette a scalini depinte”. Parte di quella macchina è andata perduta; ciò che rimane è stato rifatto a fine ‘800 e, dopo un periodo di abbandono, restaurato dalla ditta Poisa e ripristinato.
Tronetto del SS. Sacramento. Si tratta di un espositorio in legno, rivestito in velluto e decorato da una lamina argentata e sbalzata. Il basamento è a due gradini sagomati (rimontati capovolti), che propongono un’alzata decorata a fogliacce traforate. Tra i gradini si innesta un dossale rivestito in velluto rosso e abbellito da trafori in lamierina a nastri, fogliami e teste di cherubino.
Paramenti.
I paramenti più preziosi (per la loro antichità e gli artistici ricami) sono due pianete in seta damascata verde con galloni gialli. Quella più antica risale al ‘500 ed è stata malamente restaurata nel tardo ‘800; propone un disegno di maglie ogivate create dal ripetersi di rameggi con fiorami stilizzati legati da corone e centralmente campite da un grande fiore composito dalla foggia cuoriforme. L’altra, di epoca barocca, propone grandi bouquets di fiori, che disseminano il tessuto.
Agli inizi del ‘700 risale un parato in seta bianca composto da pianeta, piviale, due tonacelle e un velo omerale. L’ornamentazione è a grandi cespi di frutta e fiorami inseriti su rami attorti e dorati.
Della prima metà del ‘700 è un’altra pianeta bianca broccata in sete policrome con galloni dorati, che propone un ornato a giardino, costituito da rameggi con grandi fiori dalle squillanti tonalità rosso rosate, che si alternano a grandi bouquets di fiori rosa.
Altri paramenti di un certo interesse sono tre pianete in broccato (una rossa, una verde e una in ganzo) e un piviale in broccato rosso, tutti di fine ‘800, con ornati che sembrano imitare canoni barocchi e galloni che imitano modelli del ‘700.