EPIGRAFE

Mercoledì, 2 Aprile, 2025 - 16:30
Ufficio: 
Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Mercoledì, 2 Aprile, 2025
Area Tematica: 

Uno dei pochi reperti archeologici ritrovati sul territorio di Roncadelle è una stele votiva conservata dalla metà dell’Ottocento presso il Museo Romano di Brescia, dove si raccolgono molte epigrafi antiche.

 

Si tratta di una lapide di epoca imperiale romana, alta cm. 58 e larga cm. 37, ritrovata nella zona sud-occidentale di Roncadelle “presso la chiesa di Ognissanti”, ossia in località Savoldo (v.). È un’iscrizione votiva su pietra (botticino), dedicata al dio Alus da parte di Sextus Niger Sollonius. Venne conservata per qualche tempo da Antonia Savoldi Ceruti, che fece incidere il proprio nome sul fondo della lapide.

Alo era un dio celtico, che proteggeva gli alberi e la vegetazione nascente e che, secondo diversi studiosi, può essere assimilato a Saturno, antica divinità agraria. È più volte citato nelle epigrafi del Bresciano e del Trentino: il suo culto perdurò nelle valli alpine almeno fino all’VIII secolo d.C.

Sesto Sollonio è il nome romanizzato di una personalità di origine celtica, di cui non abbiamo notizie biografiche. L’abbreviazione NIG è generalmente tradotta “Niger” con evidente significato di pelle bruna, anche se qualche studioso propone “Nigelius”, un appellativo poco diffuso ma rintracciabile in qualche magistrato dell’epoca.

Sesto Sollonio discendeva probabilmente da una delle famiglie dell’aristocrazia cenomane che aveva accettato l’egemonia di Roma su Brescia in cambio della garanzia di autonomia interna. Il rispetto degli ordinamenti celtici ed il rafforzamento di fatto del potere delle aristocrazie locali fu infatti un efficace strumento politico adottato dai Romani per devitalizzare la tradizionale aggressività delle tribù celtiche e portarle ad una graduale acculturazione, se non omologazione, nei confronti della loro civiltà. L’aristocrazia celtica bresciana aveva favorito i grandiosi progetti romani di centuriare la pianura e stabilì che, per adire alle magistrature, una famiglia dovesse possedere almeno 150 piò di terra. In questo modo, il ceto dirigente si impossessò di circa un terzo del territorio bresciano, spesso a scapito dei piccoli proprietari.

Il territorio di Roncadelle, viste le sue caratteristiche morfologiche, non era tale da stimolare insediamenti signorili, ma poteva essere utile come investimento per una carriera politica. L’esistenza di questa epigrafe fa supporre che il personaggio citato dovesse godere di un certo prestigio nella vita sociale cittadina e lascia ritenere che egli avesse una rilevante proprietà terriera nell’area del ritrovamento della lapide o nelle sue immediate vicinanze.