GIUSPATRONATO

Mercoledì, 14 Maggio, 2025 - 17:00
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Cultura e Sport
Data pubblicazione: 
Mercoledì, 14 Maggio, 2025
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La richiesta di un sacerdote permanente a Roncadelle, già espressa nel 1306 dalla locale vicinia (v.), trovò attuazione solo due secoli dopo, grazie ad una disposizione testamentaria di Gerolamo Porcellaga, figlio di Astolfo, che pose le basi per l’erezione della locale parrocchia di S. Bernardino.

 

Fu probabilmente per sciogliere un voto espresso nel 1512, quando era prigioniero dei Francesi, ma anche per rispondere ad una sentita esigenza della popolazione locale, che Gerolamo Porcellaga dispose nel proprio testamento dell’11 marzo 1515 che i suoi eredi provvedessero a designare e mantenere perpetuis temporibus un sacerdote, amovibile a loro beneplacito, nella chiesa di S. Bernardino (da poco eretta a poca distanza dal castello) utilizzando una parte dell’affitto annuo ricavato da una sua proprietà in Roncadelle, allora affittata ai Fobelli.

Diedero esecuzione al testamento dello zio Gerolamo i nipoti Gian Battista e Gian Luigi, insieme a Gian Francesco Porcellaga, proprietario del castello (v.), che versarono la somma di 600 lire a don Filippo Donato, un patrizio veneto evidentemente investito del beneficio ecclesiastico relativo alla chiesa di S. Bernardino, per acquistarne il giuspatronato con tutti i doveri e diritti derivanti.

Diventando “patroni” della chiesa, i Porcellaga acquisirono sia il diritto di scegliere il sacerdote che la doveva gestire stabilmente esercitando (a differenza dei cappellani) la cura d’anime, sia il dovere di assicurargli un adeguato “beneficio” affinché potesse mantenersi degnamente e svolgere le sue funzioni pastorali. Tale istituto (oggi non più previsto dal diritto canonico) garantiva ai patroni alcuni privilegi, come il diritto di banco particolare in chiesa, il diritto di chiedere preghiere e messe di suffragio per sé e i propri famigliari, l’esenzione fiscale dei beni soggetti al giuspatronato.

I Porcellaga si impegnarono a versare quindi una somma annua di 24 lire (otto ducati) per il sostentamento del sacerdote e per le spese di culto ma, fornendo benefici anche alla comunità locale, chiesero ai fedeli di contribuire per lo stesso importo, sollevando da tale obbligo solo i poveri. Ogni abitante di Roncadelle venne così obbligato a versare una quota annua di quattro marchetti (due soldi), ridotta a metà per i bambini non ancora comunicati.

I Porcellaga si impegnarono comunque ad ampliare e abbellire la chiesa, chiamando il Romanino (v.) ad affrescarla, e la fornirono dei necessari oggetti liturgici e paramenti sacri; fecero costruire il campanile, dove fu collocata una campana; e cominciarono a nominare un curato che, dopo il beneplacito del vescovo, si stabiliva a Roncadelle. Oltre a celebrare quotidianamente e ad esercitare la cura delle anime, il curato di Roncadelle ottenne pochi anni dopo la facoltà di amministrare il battesimo nella chiesa di S. Bernardino, presso la quale cominciarono anche a venire sepolti i defunti.

Da allora la chiesa di san Bernardino divenne il principale riferimento per la vita religiosa dell’intera comunità locale, costituendo una curazia nell’ambito dalla parrocchia suburbana di Fiumicello, mentre l’antica chiesetta di Santa Giulia (v.), che per alcuni secoli aveva assicurato la presenza di un sacerdote solo per le funzioni festive, si ridusse ad un ruolo sempre più marginale.

Spesso il curato della chiesa di S. Bernardino era coadiuvato dai cappellani, che venivano assunti da alcuni possidenti locali per celebrare nelle cappelle private.

Il complesso rapporto tra il curato e i suoi patroni, normalmente costruito sulla collaborazione e sul rispetto delle relative funzioni, ma a volte sfociato in contrasti più o meno aperti, vedeva la popolazione costantemente schierata accanto al “suo” curato, accolto come guida spirituale e sentito vicino alle proprie problematiche quotidiane. Il curato, da parte sua, si dedicava quasi interamente alle necessità pastorali dei parrocchiani, riservando ai Porcellaga solo poche celebrazioni annue, tanto che questi, nella seconda metà del ‘500, cominciarono a pensare di istituire una cappellania privata per le proprie esigenze spirituali e devozionali.

Con l’aumento demografico locale e le crescenti necessità di spese, la somma versata dalla comunità andò incrementandosi, mentre quella dei patroni rimase a lungo fissa. Così, nel 1565 don Bernardo Bertoldi dichiarò di percepire annualmente 80 lire, di cui solo 24 a carico dei Porcellaga.

Per ridurre l’onere che gravava sempre più pesantemente sulla popolazione locale, il padre gesuita Lodovico Porcellaga, figlio di Gian Luigi, dispose, verso la fine del ‘500, un lascito di 500 ducati (1.500 lire) a favore della chiesa di S. Bernardino da investire in beni immobili, il cui reddito doveva essere destinato al mantenimento del curato. Non essendosi trovati a Roncadelle terreni in vendita su cui investire tale somma, Gian Battista e Gerolamo Porcellaga, figli di Marcantonio, decisero di mettere temporaneamente a disposizione della chiesa due terreni di loro proprietà (uno di 5 piò e uno di 3) impegnandosi a versare annualmente il relativo “censo” di 75 lire al curato. E quando anche tale iniziativa si dimostrò insufficiente, i Porcellaga decisero di ridefinire le condizioni del giuspatronato.

Carlo e Sansone Porcellaga, proprietari del castello, e i tre figli di Marcantonio nel 1604 si impegnarono col vicario del vescovo a versare un ulteriore contributo annuo di 150 lire, portando così la quota patronale a 250 lire annue e il valore materiale del giuspatronato a 5.000 lire, purché la titolarità del diritto venisse riconosciuta esclusivamente a loro stessi e ai loro eredi, imponendo al curato una celebrazione settimanale per loro stessi e i loro defunti e tre celebrazioni annuali in occasione degli anniversari dei tre patroni.

Nel 1648 il curato Pellegrino Lurani dichiarò di ricevere annualmente 500 lire: 246 dai Porcellaga ed il resto dalla Vicinia e dagli uomini di Roncadelle. I fedeli continuarono quindi a provvedere al sostentamento del curato con un contributo almeno equivalente a quello dei titolari del giuspatronato, anche se gran parte della popolazione viveva ai limiti della sussistenza, finché don Faustino Agosti nel 1696 li sgravò da tale obbligo con un lascito testamentario di 500 scudi a favore della chiesa di S. Bernardino.

Il giuspatronato passò poi al marchese Pietro Emanuele Martinengo Colleoni, figlio di Chiara Camilla Porcellaga. Ma nel 1706 i fratelli Francesco, Giovanni e Achille Porcellaga, discendenti da un altro ramo dinastico, rivendicarono la titolarità esclusiva del giuspatronato, quali eredi legittimi dei titolari precedenti. E quando, nel 1733, morì il parroco don Pietro Facchi, proposero la nomina di un sacerdote diverso da quello indicato dal Martinengo. Il vescovo di Brescia sospese allora la nomina, in attesa che la vertenza venisse risolta dall’autorità giudiziaria. La vertenza si trascinò fino al 1743, quando, in seguito ad un compromesso, i patroni scelsero don Domenico Gallizioli, di famiglia roncadellese.

I vescovi erano andati delimitando progressivamente la facoltà di scelta del sacerdote da parte dei titolari di giuspatronato riducendola ad una rosa di tre nomi, per non lasciare mano libera ai patroni, che a volte proponevano sacerdoti discutibili a gestire una parrocchia.

In epoca napoleonica furono approvate leggi che tendevano ad abolire il giuspatronato, ma la successiva restaurazione ne impedì l’esecuzione. Acquistando il castello di Roncadelle nel 1816 i Guaineri (v.) divennero anche titolari del giuspatronato, con tutti i diritti e doveri relativi.

Dal 1917 la Chiesa andò poi consigliando ai vescovi di esortare i patroni (in modo però non vincolante) a rinunciare al proprio diritto in cambio di suffragi spirituali. E fu così che a Roncadelle i Guaineri rinunciarono al giuspatronato e il diritto di nomina del parroco divenne di esclusiva competenza dell’ordinario diocesano.