LE BOTTEGHE DELLA CONTRADA DI SOTTO

Lunedì, 31 Marzo, 2025 - 10:15
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Data pubblicazione: 
Lunedì, 31 Marzo, 2025
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Fino a cinquant’anni fa la Contrada di Sotto pullulava di botteghe artigiane e commerciali, che servivano non solo il territorio locale, ma anche un ambito più vasto. Quelle botteghe hanno avuto una lunga storia, iniziata circa 600 anni fa, che merita di essere ricordata.

Nel ‘400 la contrada veniva chiamata “dell’Osteria”, perché il riferimento principale era l’osteria dei Porcellaga, che aveva preso il posto dell’antico hospitium di S. Giulia. Era situata sul lato nord della “strada regale degli Orzi”, presso l’incrocio che fungeva da porta d’ingresso del paese e nelle vicinanze del transito del Mella, che collegava la pianura sud-occidentale bresciana alla città.

L’osteria, oltre ad offrire ospitalità e ristoro, aveva anche la funzione di controllare ogni trasporto in transito per riscuoterne i dazi ed aveva l’esclusiva (che mantenne fino alla fine del ‘700) per la vendita del vino, del pane e della carne sul territorio locale, anche se bisogna dire che molti abitanti, per lo più contadini, provvedevano in proprio a produrre il pane e alle altre necessità alimentari.

Accanto all’osteria, i Porcellaga edificarono alcune case a due piani con relativi portici; poi la contrada si andò gradualmente allungando e popolando. Nel 1414 vi troviamo un certo Girardo “taverniere”. Quando c’era bisogno di un nuovo gerente, l’osteria (con pistrino e becharia) veniva messa all’incanto e affidata al miglior offerente: nel 1458 la locazione fu data a Giovanni de Rubeis. I primi artigiani di cui abbiamo notizia sono il fabbro ferraio Bassano da Bornato e il calegaro (calzolaio) Michele, che aveva preso in affitto due botteghe nella contrada.

Dal ‘500 sono documentati molti più artigiani: il ferraio Bartolomeo Fachetti, il maringone Stefano Mariani, il calzolaro Tommaso Valotti da Trenzano, il sartóre Antonio Isabetti, un barbéro, un parolaro, uno zerlotto, oltre ad alcuni fornaciari che lavoravano nelle due fornaci dei Porcellaga producendo laterizi e ai maiulì Quaranta, che negoziavano stoviglie. Ma l’attività più redditizia era quella dei “boccalari” o “scudellari”, che realizzavano piatti, scodelle, boccali e altri manufatti in maiolica, in quel periodo molto richiesti in sostituzione delle vecchie stoviglie in metallo o in legno.

I primi “boccalari” di cui si ha notizia furono Bartolomeo Zanetti di Solarolo (Mantova) e Battista Scabusi di Longhena, che si stabilirono nella contrada dell’Osteria all’inizio del ‘500. La loro attività, che fu poi proseguita a lungo dai figli e nipoti, era favorita dall’abbondanza di argilla sul territorio locale, ma soprattutto dal periodo di diffuso benessere e di nuova sensibilità artistica, che induceva molti benestanti a chiedere vasellame perfetto e finemente lavorato. Nella seconda metà del ‘500 si impegnarono nell’attività fittile anche Bettino Merici e G. Battista Tonetti. Tutti questi artigiani avevano già una discreta confidenza con il disegno e i pennelli, con cui decoravano le loro maioliche. L’unico vero problema era quello di affinare la produzione e lo risolsero assumendo ceramisti qualificati. Così gli Scabusi nel 1558 assunsero Vincenzo Bozi da Faenza (città che aveva una lunga tradizione nella produzione di maioliche artistiche). I loro manufatti erano ben quotati su tutto il territorio bresciano, tanto da essere espressamente citate in vari documenti notarili e inventari come “maioliche di Roncadelle”.

I “boccalari” che ebbero maggior peso nel ‘600 a Roncadelle furono i Malgaretti, che prosperarono grazie alla grande richiesta di quei manufatti e all’assunzione di valide maestranze, tra cui Antonio Cappello da Lodi. Intorno al 1630 i Malgaretti, che possedevano nella contrada tre immobili con orto, brolo e fornaci da maiolica, avevano accumulato nelle loro botteghe merce figularia per il valore di ben 5.500 lire planette. A testimonianza della ricchezza raggiunta da questa famiglia, ricordiamo che nel 1644 Francesco Malgaretto dispose un lascito testamentario di 2000 ducati alla locale Confraternita del Ss. Sacramento. Nel ‘600 sembra che avessero bottega nella contrada anche degli orafi che, come marchio di produzione, avevano un cavallino con le iniziali del proprio nome.

I cambiamenti sociali e istituzionali verificatisi tra la fine del ‘700 e il primo ‘800 portarono alla fine del monopolio dell’antica osteria e all’apertura di nuove attività commerciali e artigianali, con frequenti innesti da località esterne. I negozianti costituirono così il nerbo del ceto medio locale, insieme ai fittavoli agricoli e agli impiegati pubblici. Tra loro emersero alcune interessanti figure di imprenditori capaci e ben integrati nella comunità locale.

All’inizio del ‘900 vi erano quattro osterie e una trattoria, i pizzicagnoli Ermanno Fisogni e Vittorio Gasperi, i fabbri Gavazzi, un fruttivendolo, un macellaio, un meccanico, tre sarti (tra cui Pietro Marcadini, che era anche barbiere), tre falegnami, cinque calzolai e il “prestinaio” Giuseppe Moreschi, che gestì per circa 30 anni l’unica forneria e un piccolo albergo sull’incrocio per Castelmella. In seguito le fornerie diventarono due, gestite da Arturo Apostoli e Faustino Gasperi. Accanto a questi artigiani e negozianti vivevano carrettieri, renaioli, operai, muratori, fornaciari.

Intanto si era popolato anche il lato sud della Contrada di Sotto, in parte appartenente al Comune di Castelmella, che però formava un unico agglomerato urbano col lato nord; per cui nel 1930 il podestà Paolo Dusi cercò di aggregare quella zona di Castelmella al Comune di Roncadelle per razionalizzare i servizi, ma senza risultato. Gli artigiani, inquadrati nelle relative corporazioni fasciste, nel 1936 erano 39 in tutto il paese, di cui 26 nella Contrada di Sotto. I clienti, soprattutto per i negozi alimentari, acquistavano a credito facendo “segnare sul libretto” gli importi della spesa, che provvedevano a saldare (quasi sempre) quando percepivano la quindisina o la retribuzione mensile.

Alla metà del ‘900, prima che si insediassero a Roncadelle il Gros Market Lombardini (1968) e la Città Mercato (1974), la contrada pullulava ancora di negozi artigiani e commerciali per una popolazione in continua crescita. In tutta la via (compresa la porzione di Castelmella) erano più di 40. Vi erano infatti tre fornerie, cinque osterie, un licinsì, una trattoria, due bar, quattro macellerie, due alimentari, una salumeria, due fruttivendoli, una latteria, una polleria, cinque parrucchieri, un maniscalco, due negozi di scarpe, uno di tessuti e uno di abbigliamento, un fabbro, tre meccanici, due benzinai, una tabaccheria, un rivenditore di mobili e una farmacia.

Poi, un po’ per l’insostenibile concorrenza dei nuovi centri commerciali, un po’ per mancanza di spazio, i negozi di vicinato cominciarono a spostarsi o a chiudere i battenti. E la storica contrada ha cominciato a cambiare volto, pur mantenendo la propria identità di luogo di incontro, di apertura alle novità, di integrazione sociale.

 

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