CENOMANI
I Cenomani appartenevano al popolo indoeuropeo dei Celti, che in epoca protostorica si diffuse in varie zone dell’Europa e anche in Anatolia. Guidati dal brenno Elitovio, i Cenomani si stanziarono nella pianura bresciana intorno al V sec. a.C., mentre un’altra tribù cenomane si stabilì lungo il bacino della Loira in Francia (Le Mans). A contatto con i Liguri, le loro abitudini bellicose si addolcirono. Nei secoli seguenti stabilirono buoni rapporti con i Veneti, i Romani e le popolazioni alpine, ma non con i cugini Insubri, stanziati al di là dell’Adda. Fu forse per questo che, al tempo di Augusto, vennero inseriti nella X Regione insieme ai Veneti.
All’alba della storia di Roncadelle ci imbattiamo in due popolazioni politicamente alleate, ma con culture molto diverse, che cercavano di integrarsi: quella celtica, legata all’ambiente naturale, al villaggio, all’allevamento del bestiame, e quella romana impostata sulla civiltà, sulla città, sull’agricoltura. Anche le loro abitudini alimentari erano piuttosto diverse: mentre i Romani ponevano alla base della loro produzione alimentare il grano, la vite e l’ulivo per una dieta a forte caratterizzazione vegetale (pur senza trascurare la carne e il formaggio), i Celti, che pure coltivavano cereali e vite, si nutrivano soprattutto di carne, latte e burro. Erano diversi persino nel vestire: i Celti non indossavano la tunica come i Romani, ma le “brache”, che poi si imposero nell’abbigliamento maschile. E, nei lavori agricoli, utilizzavano strumenti innovativi, come l’erpice, la falce con un manico da azionare a due mani, l’aratro con il coltro.
I Cenomani, stanziati nella pianura tra l’Oglio e il Mincio, vivevano in villaggi di capanne a stretto contatto con boschi e corsi d’acqua; allevavano suini, bovini, ovini e pollame; coltivavano vari cereali; la loro predilezione per il vino, oltre che per una sorta di birra, li spinse a diffondere la viticoltura adottando il sistema etrusco della “piantata”, che consisteva nel maritare la vite al sostegno vivo degli alberi (soprattutto pioppi, aceri e olmi) piantati lungo i bordi dei campi; tra i loro sport preferiti vi era la caccia al cinghiale, al cervo e ad altri animali selvatici.
Pur essendosi stabiliti, oltre che nel villaggio-capoluogo di Brescia, anche nelle vicine località di Urago, Gussago, Brazzago, Lovernato, Flero e Castelmella, i Cenomani evitarono probabilmente di stanziarsi nel territorio di Roncadelle, da loro considerato più adatto alla caccia e ai riti religiosi che non alla coltivazione, e ne rispettarono la natura selvaggia. Essi vedevano infatti nella foresta una risorsa da sfruttare con intelligenza, più che un nemico da combattere. Il tradizionale rispetto dei Celti nei confronti degli alberi li portò anzi a considerare sacri alcuni boschi, come sembra sia avvenuto per quello di Onzato, dove sorse poi un santuario cristiano chiamato “Madonnina del Boschetto”.
Col tempo, forse i Cenomani costituirono nell’attuale zona nord-occidentale di Roncadelle, presso l’attuale località Mandolossa, un piccolo insediamento, come lascia supporre il termine “Tezago”, citato in documenti medievali; forse cominciarono ad utilizzarvi alcune aree come pascolo, salvaguardando il manto boschivo, e magari a ritagliarvi alcuni piccoli campi per la produzione di cereali e vino; forse utilizzarono anche i depositi di argilla accanto ai corsi d’acqua locali per la produzione di ceramiche, in cui erano maestri.
Facendo uso di carri a due e a quattro ruote trainati da cavalli, i Cenomani svilupparono probabilmente una prima rete di strade carrabili. Una pista dovette certo interessare l’attuale territorio di Roncadelle già nell’età protostorica per collegare i villaggi della pianura sud-occidentale al capoluogo snodandosi tra i boschi ed evitando la vasta zona paludosa che si estendeva a sud di Maclodio, Lograto e Torbole.
Le modificazioni del paesaggio locale (v.) prodotte dai Cenomani furono comunque marginali e precarie. Il loro vero retaggio è più culturale che archeologico e se ne scoprono ancora tracce nelle tradizioni popolari; essi trasmisero ai posteri un sentito culto dei morti (v.), un profondo legame con la natura, una costante ricerca della pacifica convivenza con altre popolazioni, unita ad un perenne desiderio di autonomia politica e amministrativa. I Cenomani si integrarono sempre più con i Romani, verso i quali nutrivano grande ammirazione. Era di stirpe celtica quel Sesto Sollonio, di cui è rimasta un’epigrafe (v.) di epoca imperiale romana sul territorio di Roncadelle.
In campo linguistico, ci hanno lasciato in eredità l’uso delle vocali turbate ü e ö, nonché diverse parole del dialetto bresciano (v.) ormai desuete, come maöla (fragola), brüc (erica), bröl (brolo, orto), bèna (carro ribassato), ecc. Nella lingua italiana sono rimasti una sessantina di vocaboli di sicura derivazione celtica (cfr. Dizionario Etimologico Zanichelli): si tratta di termini per lo più relativi ad un mondo rurale ed artigianale, che è andato scomparendo.