HOSTERIA

A Roncadelle, per quattro secoli, c’è stata una sola osteria (Hostaria, Hosteria), gestita dai proprietari del castello, accanto alla quale si è sviluppata una vivace Contrada, che diede vita a varie botteghe artigiane e commerciali e manifestò costante attenzione agli avvenimenti esterni e alle nuove correnti di pensiero.
Punto di incontro tra mondo rurale e mondo cittadino, specchio a volte crudele della vita sociale e della realtà locale, teatro naturale di vicende liete e dolorose, l’osteria è rimasta a lungo un importante momento comunitario e luogo abituale di discussione e di trasmissione di cultura.
L’osteria di Roncadelle è documentata dalla prima metà del ‘400, quando era di proprietà dei Porcellaga (v.), ma con ogni probabilità la sua origine è più antica ed è da mettere in relazione, sia per la funzione che per l’ubicazione, con l’hospitium (v.) medievale che il monastero di S. Giulia possedeva e alimentava sul territorio locale, presso il transito del Mella (v.).
L’ubicazione dell’antico ospizio non poteva infatti essere molto diversa da quella dell’osteria, posta sulla strada di Orzinuovi, presso l’incrocio tra la via che immetteva in Roncadelle e quella che portava ad Onzato; era presso il guado del Mella, ma non troppo a ridosso del fiume tenendo conto delle frequenti esondazioni, che allagavano gran parte del territorio limitrofo. Inoltre, nei documenti del ‘400, l’osteria era chiamata quasi sempre hospitium, quasi a voler sottolineare una continuità tra la struttura caritativa di S. Giulia e la “taberna” dei Porcellaga. Questi ne acquisirono la proprietà probabilmente alla fine del ‘300, quando ottennero da Brescia l’investitura sul territorio locale.
L’osteria era precisamente dislocata a nord della strada “degli Orzi” e ad ovest della via che conduceva al castello di Roncadelle. Nel ‘500 si presentava come accorpamento di due edifici in un unico complesso ad angolo, preceduto da un largo spiazzo aperto sul crocevia. L’ala nord, parallela alla strada di Orzinuovi, comprendeva alcuni locali al pianterreno, preceduti da un largo portico a quattro voltoni, e alcuni alloggi al piano superiore collegati da una “loggia” sopra il portico. L’ala ovest era costituita da un grande ambiente rettangolare lungo 12 metri e largo 7, col soffitto formato da sei volte a crociera sorretto al centro da due antiche colonne e venne adibita dai Porcellaga in parte a stalla e in parte a cantina, sormontate da un vasto fienile.
Nel 1646 l’osteria venne descritta come “una casa con corpi quattro di stanze terranee et altri superiori, con due stalle et fenili et caneva, con corte et horto et tavole cinquanta di terra aradora”.
Attrezzata per fornire alloggio e ristoro a persone ed animali in transito sull’importante strada di Orzinuovi e punto di ritrovo per gli abitanti di Roncadelle e dintorni, l’osteria costituiva un centro di interessi considerevoli, sia per il profitto che poteva dare, sia per il potere che la figura dell’oste andò assumendo a Roncadelle. Insieme ai locali dell’osteria venivano affittati il pistrino (forneria) e la becharia (macelleria) e l’oste vendeva vino, pane e carne senza pagare dazi e godendo del diritto di esclusiva su tutto il territorio locale. Normalmente l’oste prendeva in affitto anche due appezzamenti di terreno presso l’osteria per uso proprio. L’osteria era utilizzata anche per la riscossione dei dazi sulle merci che transitavano sul territorio di Roncadelle, una funzione che i Porcellaga avevano delegato all’oste e che consentiva di fermare e controllare qualsiasi trasporto, anche con l’impiego di uomini armati.
Il primo “taverniere” di cui abbiamo notizia si chiamava Girardo, attivo all’inizio del ‘400. Un altro oste, Giovanni de Rubeis, il 19 gennaio 1458 prese in locazione l’osteria e la riscossione dei dazi per quattro anni. Quando vi era bisogno di un nuovo gerente, l’osteria veniva messa all’incanto e affidata al miglior offerente. L’oste doveva godere ovviamente della fiducia dei proprietari, ma non sempre la persona prescelta si dimostrava affidabile, come accadde all’inizio del ‘500 con Bernardino Cornacchia di Clusone, detto Cornacì, che dopo aver gestito l’osteria ed alcuni possedimenti in Roncadelle, si rese irreperibile restando debitore di 600 lire nei confronti di Gian Francesco Porcellaga. Ma normalmente tra oste e proprietario si stabiliva un rapporto di grande collaborazione, che arrivava spesso alla connivenza. Nel 1634 l’oste Paolo Gallizioli venne condannato ad un anno di prigione “serrata alla luce” per essere stato in parte complice delle malefatte di Camilla Fenaroli, vedova di Sansone Porcellaga; e negli anni successivi fu possibile imporre un clima di terrore a Roncadelle anche grazie a diffuse connivenze locali, tra le quali non poteva certo mancare quella dell’oste.
L’osteria richiamava viandanti di ogni risma. Oltre a trovarvi ristoro, alloggio temporaneo, cambio di cavalli, nell’osteria nascevano intese e complicità, si confrontavano opinioni, si concludevano contratti. Dall’osteria, soprattutto nella prima metà del ‘600, partivano imprese banditesche e spedizioni punitive. Presso l’osteria venivano a volte deposti i figli non desiderati, come accadde nel gennaio 1672, quando fu ritrovata sotto il portico dell’osteria una neonata abbandonata, cui venne dato il nome di Teresa; o nel marzo 1687, quando una donna di Maclodio trovò sullo “stradone delli Orzi” nei pressi dell’osteria un’altra neonata, che venne chiamata anch’essa Teresa. Presso l’osteria furono anche commessi omicidi, come accadde il 5 marzo 1646, quando Adamo Vel, un ufficiale della compagnia del Fenaroli acquartierata a Travagliato, ritornando da Brescia dopo aver ritirato le paghe per i soldati, nel fermarsi all’osteria di Roncadelle fu colpito da un colpo d’archibugio e derubato di 190 ducati.
La proprietà dell’osteria nel ‘400 era stata frazionata in dodici quote (o “mesi”) per consentirne la trasmissione agli eredi Porcellaga. Ma, quando l’eccessiva frammentazione della proprietà ne rese difficoltosa la gestione, Gian Francesco Porcellaga, che ne possedeva quattro dodicesimi, ne divenne l’effettivo proprietario acquistando un’ulteriore quota nel 1488 ed ereditandone un’altra dal fratello Sansone, tanto che nel 1517 poté dichiarare di possedere la metà dell’osteria, “qual ha bisogno di molte spese”, con un valore presunto di 1.000 lire plt. e un reddito mensile dichiarato di sole 5 lire, escludendo le forniture di carne che egli riceveva ogni settimana dall’osteria. La valutazione data all’osteria era comunque attendibile, se pochi anni dopo, nel 1526, Gian Francesco acquistò un’altra mezza quota per 90 lire e se nel 1527 l’affitto annuo riscosso risulta di 100 lire.
Il valore ed il reddito effettivo dell’osteria andarono costantemente aumentando, come dimostrano i documenti degli anni successivi: nel 1560 gli eredi di Sansone acquistarono due quote dall’Ospedale Maggiore di Brescia per 400 lire e, nel 1573, il valore complessivo dell’osteria era stimato in 4.800 lire. Nella polizza d’estimo del 1588 Sansone Porcellaga dichiarò che dall’affitto dell’hostaria con ara et horto et circa piò uno di campo aradore contiguo […] con il prestino et becharia et bollo de i cavalli. ricavava annualmente 195 lire, mentre i suoi eredi nel 1641 dichiararono che l’affitto dell’osteria consisteva in “pesi quatro di carne alla settimana eccetto che la quaresima, la mittà di vitello et l’altra mittà grossa”. I Giudici delegati all’estimo delle Chiusure nel 1646 ne definirono il reddito in 336 lire annue ed il valore complessivo in 6.606 lire, ma un conteggio delle entrate di Chiara Camilla, eseguito nella seconda metà del ‘600, rivela che l’oste Giacomo Bardella era tenuto a consegnare ai proprietari del castello cinque pesi di carne alla settimana per un valore annuo di circa 2.100 lire, oltre ad un versamento in denaro di 550 lire all’anno.
Il reddito e l’importanza delle osterie erano tali che molte comunità rurali vi ricavavano gran parte del loro reddito e, in ogni località, si cercava di bloccare sul nascere ogni possibilità di concorrenza. Così, quando nel 1560 i Porcellaga vollero aprire una nuova osteria in località Mandolossa, dovettero rinunciarvi per la decisa opposizione del comune di Gussago e di Leandro Gambara; mentre a Roncadelle i proprietari del castello impedirono ogni possibile concorrenza alla propria osteria, arrivando anche ad acquisire l’osteria di Onzato, sorta a poca distanza da quella di Roncadelle, per tenerla costantemente chiusa.
Coloro che vendevano vino al minuto in proprio venivano regolarmente denunciati e condannati, come capitò ancora alla fine del ‘700, quando tale situazione appariva sempre più insopportabile e anacronistica, ad alcuni intraprendenti abitanti di Roncadelle e di Onzato (Giovanni Spagnoli nel 1768, Michele Fogazzi e Pietro Felici nel 1786, Giuseppe Dusi e Faustino Gasperi nel 1790). La situazione di monopolio, per di più, favoriva diversi abusi e trasgressioni delle norme emanate in difesa dei consumatori: nel 1790 un sopralluogo dell’ispettore Giovanni Gabelli nell’osteria di Roncadelle rilevò, ad esempio, irregolarità nella gestione e sottolineò che il vino era di cattiva qualità. Alla fine del ‘700 decaddero gli antichi privilegi (v.) e vennero aperti nuovi locali pubblici, che portarono poi ad una rapida decadenza e alla chiusura dell’antica osteria. L’edificio fu acquistato dalla famiglia Gasperi, che vi avviò una storica forneria. E la via che collegava la contrada di Sotto al castello rimase denominata “via Osteria” fino al 1905, quando gli amministratori locali dell’epoca, forse ritenendo tale denominazione sconveniente o priva ormai di significato, deliberarono di chiamarla “via Municipio”, dando la giusta importanza e centralità al palazzo municipale, che divenne il nuovo riferimento per la comunità locale.